Andar per fiabe alla ricerca del padre

C. Zucal - A. Farneti

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    Andar per fiabe alla ricerca del padre

    Le fiabe classiche più note e più raccontate ai bambini ci mostrano una composizione famigliare non sempre ben definita, dove i padri sono per lo più figure assenti o negative, e nella quotidianità subiscono l’influenza nefasta di madri e matrigne.



    Cristina Zucal*
    Alessandra Farneti**



    In ogni momento della sua vita, lungo tutto il percorso di personalizzazione, il bambino ha bisogno di qualcuno [un padre] che l’abbia davvero “adottato”, […] di qualcuno che lo aiuti a crescere, che lo allevi. Questo qualcuno dovrebbe essere assunto a tempo indeterminato, non come interinale. Questo qualcuno dovrebbe ricoprire un ruolo importante, non uno strapuntino. Questo qualcuno dovrebbe essere sempre presente, non a tratti. Il bambino ha bisogno di un padre che non sia né un estraneo, né una seconda madre,ma di un padre uomo che faccia pienamente e serenamente…“atto di presenza”. (Jean Le Camus, 1995)



    I legami familiari e la figura del padre: breve introduzione teorica

    La famiglia è stata considerata dalla psicologia e dalla pedagogia come luogo e soggetto di crescita privilegiato per il bambino e, più in generale, come struttura di sostegno per i singoli individui, nel corso di tutto l’arco di vita, a prescindere dai diversi orientamenti teorici. (Cusinato, 1988; Cusinato, Tessarolo, 1993; Cusinato, Cristante, 1999)
    La prospettiva sistemica ha evidenziato una complicata rete di rapporti e di comunicazioni in quello che viene definito il “sistema famiglia”. Dal proto-sistema madre-bambino partono segnali che ricevono risposte dagli altri componenti della famiglia (padre, fratelli), creando così altri micro-sistemi in relazione reciproca. Tali sistemi comunicano con l’esterno dando luogo ad un intricato insieme di comunicazioni e di feedback, che costituiscono il terreno su cui l’individuo si sviluppa.
    E’ noto inoltre che i ruoli genitoriali, le diverse modalità di attaccamento dei figli, i rapporti fra fratelli e quelli fra nonni, figli e nipoti, sono fortemente influenzati dalle rappresentazioni sociali di ciascuno, dalle aspettative e dalle reciproche modalità comunicative e che, a loro volta, tali rappresentazioni subiscono forti influenze sociali e culturali (Venuti, Giusti, 1996; Sponchiado, 2001)
    Scabini definisce la famiglia come un luogo di mediazione e incontro tra bisogni e relazioni sociali sovente contrastanti dei quali sono portatori i suoi componenti. In essa si riuniscono bisogni naturali e culturali, bisogni di attaccamento e desideri di autonomia, possibilità di scelta e condizioni predeterminate.
    Ciò ha portato la sociologia a considerare la famiglia come elemento organico della società mentre in ambito psicologico la famiglia è rimasta per lungo tempo un’entità supposta, studiata solamente attraverso i suoi presunti effetti causali sullo sviluppo del bambino.
    “Il familiare” ha i caratteri di un universale culturale, cioè di un aspetto invariante che accomuna le varie forme familiari presenti nelle diverse società e culture” anche se i rapporti intra-familiari mutano in funzione del periodo storico, degli avvenimenti sociali, e delle necessità contingenti. (Scabini, 1985; Scabini, Cigoli, 2000)
    In particolare la famiglia moderna occidentale si configura come un’organizzazione delle relazioni di parentela che privilegia i rapporti tra i coniugi, configurati pariteticamente e tra questi e i loro figli su base affettiva.
    Solo poche generazioni fa tale famiglia si basava sull’ineguaglianza dei sessi, sullo stretto legame tra sessualità-coniugalità-fecondità e sulla soggezione dei figli al potere paterno poiché i bambini erano considerati come degli adulti mancanti ed imperfetti.
    Due sono gli assi relazionali interni alla famiglia: quello coniugale e quello parentale-filiale.
    Un tempo la famiglia tradizionale si occupava della riproduzione della vita e della trasmissione, per mezzo delle generazioni, di un patrimonio biologico, materiale e simbolico il quale dipendeva sia dalla singola famiglia, sia da norme condivise, da leggi, scritte e non, da sistemi che penetravano in profondità la società e che formavano una specie di humus nel quale si situava la famiglia.
    La gente si comportava secondo aspettative comuni e limiti molto rigidi, vigeva un controllo ferreo sui sentimenti e c’era una notevole indifferenza nei confronti dei fanciulli (in parte dovuta alla elevata mortalità infantile: un bambino su quattro moriva nel primo anno di vita); la vita era assai precaria, non esisteva privatezza; l’elemento più importante era costituito dalla solidarietà familiare che andava ben oltre la famiglia nucleare estendendosi tra parenti, figli adulti non sposati, zii, nonni. La famiglia, in quanto istituzione, rappresentava il fondamento della società ed era considerata un fatto di natura basata prevalentemente sulla ripetizione.
    Il ruolo del padre, dunque, va messo costantemente in relazione al sistema familiare articolato e in continua evoluzione.
    Se la relazione madre-figlio è stata oggetto di numerosissime ricerche, quasi che la salute mentale e l’equilibrio dei figli fosse responsabilità della sola madre, per molti anni la figura paterna è stata considerata “di sfondo”, tanto che Spitz (1973) l’ha definita “il primo estraneo” con cui il bambino si confronta.
    Da parecchi anni la psicologia, rivalutando l’importanza della figura paterna, ha dimostrato che la sua assenza può provocare gravi danni.
    La relazione madre-figlio e quella padre-figlio differiscono fisiologicamente: mentre la prima è un rapporto viscerale, la seconda nasce dalle successive elaborazioni mentali che il padre fa del proprio ruolo. Le caratteristiche della paternità sono perciò molto più influenzate dalla cultura di appartenenza di quelle della maternità. Basti ricordare qui che si va da una sopravvalutazione del padre, che simula il parto circondato dalle attenzioni degli altri membri della tribù (fenomeno della couvade), alla “spartizione” della paternità fra più maschi, alla negazione di un legame causale fra l’atto sessuale e il concepimento in altre tribù (Venuti, Giusti, 1996; Bertozzi, Hamon, 2005).
    Le ricerche condotte nelle società occidentali moderne, dimostrano che la paternità è connotata soprattutto dalla dimensione affettiva e si può definire come la capacità dell’adulto di “prendersi cura”, indipendentemente dalle componenti biologiche.
    Smorti distingue due modalità di studiare il ruolo del padre: come variabile dipendente e come variabile indipendente. Nel primo caso si tratterà di verificare come può connotarsi il rapporto sia in relazione alla società e alla cultura che alle diverse fasi di sviluppo del figlio; nel secondo caso si tratterà di considerare gli effetti del ruolo del padre sullo sviluppo dei figli (Smorti, 1980)
    La relazione padre-figlio si connota come asimmetrica: da un punto di vista cognitivo il padre è vissuto per molti anni dal figlio come un potente mediatore ed elaboratore delle informazioni e, in una prospettiva psicodinamica, come un pericoloso rivale nei confronti della madre per il maschio, come oggetto del desiderio per le femmine.
    Le recenti estensioni delle teorie dell’attaccamento, inoltre, hanno fornito dati importanti sullo sviluppo dei legami familiari dalla prima infanzia fino all’età adulta. La figura del padre si rivela di fondamentale importanza fin dal periodo di gestazione: dapprima come contenitore delle ansie della donna, poi come supporto della diade madre-bambino, poi come polo separativo nella relazione triadica, infine come base sicura nella fase di emancipazione dei figli adolescenti (Carli, 1999).
    Nel delicato equilibrio del sistema familiare, l’espressione della paternità dipende da molte variabili: caratteristiche personali, esperienze vissute nella propria famiglia di origine, rapporto con la partner.
    Nella famiglia tradizionale, ormai superata, la leadership paterna era indiscussa, mentre oggi è, nel più felice dei casi, condivisa con la madre, nel più infelice, assolutamente negata.
    In passato la famiglia era caratterizzata da una struttura di tipo patriarcale, dove vi era una precisa suddivisione dei ruoli per cui si aveva ben chiaro quali fossero le funzioni materne e quali quelle paterne: al padre veniva riconosciuto il compito di occuparsi del benessere economico della famiglia e di curare i rapporti con il mondo esterno, mentre alla madre spettava l’accudimento dei figli e la gestione delle faccende domestiche.
    Tutto questo trova espressione nella teoria della differenziazione di ruoli, di Parsons, dove i compiti sono distribuiti sulla base di un pregiudizio di genere, ovvero sulla debolezza femminile, di madre-moglie incaricata della gestione della casa, incline dunque alla comprensione, alla dolcezza e alla sua esclusione dall’ambito socio-lavorativo e su un’idea di uomo forte, severa e autoritaria e che, in quanto fonte di status e di reddito familiare, costituisce il tramite tra i valori della società e quelli della famiglia (Bertozzi, Hamon, 2005).
    Il padre ricopriva così il ruolo di leader forte o strumentale, capace di farsi obbedire, di far rispettare le regole ai figli e alla moglie, di mantenere economicamente la famiglia, di tenere i rapporti con la società, di affrontare in modo efficace il mondo esterno ma che raramente si occupava dell’educazione dei figli. La madre, invece, rappresentava il leader espressivo, portatrice di valori umani, responsabile della coesione affettiva, capace di ispirare simpatia, di promuovere il senso di solidarietà all’interno della famiglia (Oliverio Ferraris, 2001).
    Fornari (1981) ha fornito un’interpretazione psico-dinamica dei ruoli familiari, sostenendo che per una crescita sana del soggetto sono necessari due codici di base: quello materno e quello paterno. Il codice paterno privilegia il principio di realtà e si traduce nella valorizzazione dell’autonomia del figlio, mentre quello materno si basa soprattutto sull’espressione dell’emotività e tende alla simbiosi. Svolgere la funzione genitoriale consiste essenzialmente nel dare affetto e contemporaneamente fornire contenimento e dare direzione alla crescita del figlio attraverso il rispetto delle norme. L’affetto permette al bambino di assimilare vitalità, calore, fiducia e stima; la legge indica il senso di ciò che è bene e di ciò che è male, lo pone di fronte al limite aiutandolo a riconoscere la realtà esterna fisica e sociale con cui deve fare i conti e in cui deve inserirsi e dare il suo costruttivo contributo. Questi sono aspetti ineliminabili del rapporto genitori-figli. Accentuare uno solo di questi conduce ad una forte distorsione relazionale. Infatti, l’affetto privo della direzione normativa, si trasforma in iper-protettività o peggio in atteggiamento simbiotico, così come il rispetto della legge senza il calore dell’affetto rende la relazione genitori-figli rigidamente autoritaria. Ciò significa, in una chiave di lettura freudiana, integrare il principio del piacere e il principio di realtà. Fin dai primi giorni di vita è il principio di piacere a stimolare l’essere umano: da subito, infatti, egli si orienta verso tutto ciò che può fornirgli un appagamento, inteso come liberazione da uno stato di tensione. Uscito dall’abbraccio materno soddisfacente e rassicurante, il bambino deve però fare i conti con una realtà che non è più automaticamente in sintonia con i suoi bisogni. Ecco quindi che è compito dei genitori, aiutare il bambino a modulare i propri bisogni, ad accettare i limiti imposti dall’esterno, e a capire che la realtà non sempre significa soddisfacimento.
    La funzione paterna è proprio quella di porre lei limiti e di portare così il bambino a percepire l’importanza di aderire alla realtà e alle sue regole.
    In questi ultimi decenni la psicologia ha rivalutato l’importanza della figura paterna e ha introdotto una nuova importante ottica che ha spostato l’attenzione dalla diade madre-bambino alla triade madre-padre-bambino (Carli, 1999; Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery, 2000)



    Il padre nelle fiabe classiche
    Da questa breve introduzione si comprende come il ruolo paterno sia mutato nel tempo e come sia difficile imbrigliarlo in una definizione rigida: sembra tuttavia innegabile che al tempo in cui sono state create le fiabe popolari tradizionali la famiglia avesse una struttura patriarcale in cui la volontà del padre era dominante e indiscutibile.
    Nel corso dei secoli si sono susseguite versioni diverse dei racconti popolari, più o meno fedeli alla tradizione orale. Da Perrault ad Andersen, ai fratelli Grimm, lo stesso racconto è stato presentato in modi diversi, talvolta anche molto distanti tra loro.
    Le raccolte che vengono proposte oggi ai bambini spesso sono nate da una sintesi di diverse versioni e soprattutto la Disney ha contribuito ad addolcire molto i contenuti truculenti e talvolta violenti delle fiabe tradizionali.
    Per rintracciare i vari profili di padre descritti nelle fiabe, ci rifaremo soprattutto alle fiabe del Focolare dei Grimm perché sembrano essere le più fedeli ai testi orali. Mentre Perrault ne ha fatto delle rivisitazioni dotte e attente alla forma e Andersen ha trasformato i racconti classici, inserendovi molti elementi autobiografici, i Grimm, in un’ottica romantica e nazionalista, hanno cercato di essere il più possibile fedeli alle fiabe orali, nell’intento di rivalutare la tradizione tedesca, E’ proprio nelle fiabe dei Grimm che la figura del padre è più presente, sia nei suoi risvolti positivi, sia in quelli negativi.
    Al tempo in cui sono state create le fiabe, il padre doveva procacciare il necessario sostentamento alla famiglia, dedicarsi agli affari, alle guerre o ai suoi campi, a seconda del suo status sociale. E così traspare da molti racconti un padre interessato soprattutto al destino materiale dei figli e delle figlie: ai primi si doveva lasciare qualcosa in eredità, alle seconde, grazie ad una dote equa, procacciare un marito capace di mantenerle. Le fiabe sono popolate da re che offrono bellissime principesse in sposa a chi si mostrerà più abile nel superare difficili prove; da poveri contadini che si vantano delle virtù straordinarie delle proprie figlie per sollecitare qualche pretendente facoltoso; da padri preoccupati per la stupidità dei loro figli; da padri che hanno troppi figli e non sanno come sfamarli, ma anche da padri che vogliono migliorare la condizione dei figli facendoli studiare o rendendoli capaci di qualcosa di speciale; persino da padri apertamente incestuosi ecc…
    “C’era una volta un povero taglialegna, che lavorava dal mattino sino a tarda notte. Quando finalmente egli ebbe raggranellato un po’ di denaro, disse a suo figlio: “Tu sei il mio unico figlio: il denaro che ho duramente guadagnato col sudore della fronte, voglio impiegarlo per la tua istruzione; se impari a dovere, puoi mantenermi da vecchio, quando le mie membra saranno indurite e dovrò starmene a casa”…(Fratelli Grimm, Le fiabe del focolare. Lo spirito nella bottiglia, pag 347)
    Si incontrano tuttavia anche padri molto coinvolti emotivamente nella vita familiare, che, insieme alla propria moglie desiderano i figli e, quando nascono, mostrano un affetto profondo. Essi sono capaci di mostrarsi oblativi e teneri, di ascoltare ed esaudire i desideri dei propri figli. Si tratta in genere di re, principi o ricchi mercanti, che vivono nell’agio e non sono angustiati dai bisogni quotidiani. I più poveri, al contrario, sono talvolta costretti a vendere i figli o a stringere patti col diavolo pur di non vedere i figli morire di fame.
    “C’era una volta un re e una regina, che ogni giorno dicevano: “Ah se avessimo un bambino!” Ma il bambino non veniva mai. Un giorno che la regina faceva il bagno, ecco saltar fuori dall’acqua una rana, che le disse: “Il tuo desiderio si compirà: prima che sia trascorso un anno darai alla luce una figlia”. La profezia della rana si avverò e la regina partorì una bimba, tanto bella che il re non capiva in sé dalla gioia e ordinò una gran festa…(Fratelli Grimm, Le fiabe del focolare. Rosaspina, pag 176)

    “C’era una volta un uomo, che si disponeva a un lungo viaggio e accomiatandosi domandò alle sue tre figlie che cosa doveva portar loro. La maggiore voleva delle perle, la seconda diamanti, ma la terza disse. “Caro babbo, vorrei un’allodola che trilla e saltella”. Il padre disse: “Sì, se riesco a prenderla, l’avrai”. Le baciò tutte tre e partì. Quando fu il tempo di prender la via del ritorno, aveva comprato perle e diamanti per le due maggiori, ma per la minore aveva cercato invano l’allodola che trilla e saltella, e gli spiaceva perché la minore era la sua prediletta”… (Fratelli Grimm, Le fiabe del focolare, 2003,. L’allodola che trilla e saltella, pag 302)

    O ancora:
    “C’era una volta un re che era malato, e nessuno credeva che la scampasse. Ma egli aveva tre figli, che n’erano molto accorati; scesero nel giardino del castello e piansero. Là incontrarono un vecchio, che domandò loro perché fossero tanto afflitti. Gli dissero che il padre era così malato che certo morirebbe, perché nulla poteva giovargli. Disse il vecchio: “Ma io conosco un rimedio, che è l’acqua della vita; se la beve guarirà. Ma è difficile trovarla”. Il maggiore disse: “La troverò ben io”. Andò dall’infermo e gli domandò il permesso di andare a cercar l’acqua della vita, perché quella soltanto poteva guarirlo. “No – disse il re – è troppo pericoloso; preferisco morire”. Ma il giovane lo supplicò tanto che egli infine accondiscese. In cuor suo il principe pensava: “Se porto l’acqua, divento il suo prediletto ed eredito il regno”… (Fratelli Grimm, Le fiabe del focolare, 2003,. L’acqua della vita, pag 340)

    In queste fiabe si intravede, quindi, una ricca gamma di rapporti familiari, anche se le vicende interpersonali e le dinamiche affettive sono spesso raccontate con poche parole che lasciano intendere ma non descrivono, se non superficialmente, i sentimenti dei personaggi. Così la composizione familiare non è sempre ben definita: talvolta si parla soltanto di un padre o di una madre, talvolta di due genitori, talvolta di un padre e di una matrigna.
    Di fronte a questa vasta gamma di figure paterne, lascia sorpresi scoprire che le fiabe classiche più note e più raccontate ai bambini di oggi ci offrono per lo più esempi di padri assenti o cattivi, che nella quotidianità subiscono l’influenza nefasta di madri e matrigne cattive.
    Basti pensare, per citare solo i più famosi, al re nella fiaba di Biancaneve o al padre di Hansel e Gretel. A tali padri non viene imputata la colpa diretta del male fatto ai figli; tuttavia vengono rappresentati come figure deboli, accecati dal fascino femminile.
    Le fiabe, come è noto, possono essere interpretate in modi diversi, a seconda della prospettiva teorica che si assume. La loro trama è costante e ripetitiva, come ha ben evidenziato Propp (1972), e ripercorre tappe cruciali della vita di ciascuno, così come temi ricorrenti dei rapporti sociali ma possono essere lette anche in chiave psicodinamica, come hanno ampiamente dimostrato Bettelheim e la Von Franz in una prospettiva freudiana il primo, junghiana la seconda. Essi hanno tradotto gli elementi di realtà presenti nelle fiabe, in contenuti simbolici che fanno riferimento alle dinamiche intrapsichiche o agli archetipi dell’inconscio collettivo (Bettelheim, 1977; Von Franz,. 1980)
    Se le varie figure maschili e femminili possono dunque essere riportati alle figure chiave materne e paterne, ci si domanda perché le fiabe più raccontate ai bambini mostrino padri molto negativi e perchè, per recuperarne aspetti positivi, si faccia ricorso a personaggi sostitutivi.
    In Biancaneve, per esempio, la madre morta ci viene presentata come una dolce creatura che ricamava pensando alla gioia che avrebbe rappresentato la nascita di una bambina. Tutti i simboli introdotti lasciano immaginare una madre affettuosa, preoccupata della felicità della propria creatura e dimentica “del sangue” che le sarebbe costata.
    Una volta, nel cuor dell’inverno, mentre i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume, una regina cuciva, seduta accanto a una finestra dalla cornice d’ebano. E così facendo, alzando gli occhi per guardar la neve, si punse un dito e caddero nella neve tre gocce di sangue. Il rosso era così bello su quel candore, ch’ella pensò: “Avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l’ebano della finestra!”. Poco dopo diede alla luce una figlioletta bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l’ebano; e la chiamarono Biancaneve. E quando nacque la regina morì. (Grimm, Le fiabe del focolare, 2003, Biancaneve, trad. 1951, pag. 185)
    Il re, al contrario, non esiste, se non come inevitabile figura di sfondo, in quel plurale “la chiamarono” che fa intendere una decisione condivisa con qualcuno. Neppure ci viene spiegato come mai, alla morte della regina si è scelta una seconda moglie così crudele, anche se appare chiaro che egli è stato stregato dal fascino maligno del narcisismo della donna e che l’attrazione sessuale ha avuto la meglio sui sentimenti, accecando completamente l’uomo, dimentico dei suoi doveri di padre.
    “…Dopo un anno il re prese un’altra moglie: era bella ma superba e prepotente e non poteva sopportare che qualcuno la superasse in bellezza…” (Grimm, Le fiabe del focolare, 2003, Biancaneve, trad. 1951, pag 185)
    Quando la bella matrigna decide di far uccidere Biancaneve, del re non si sa nulla. E’ forse lontano, preso da battaglie e questioni politiche? Oppure è silenziosamente correo della perfida moglie di cui teme la malvagità? Neppure Biancaneve pare aspettarsi o cercare l’aiuto del padre, quasi che sia consapevole della sua totale assenza come punto di riferimento. Viene tuttavia introdotto il cacciatore, come figura paterna alternativa che interverrà in aiuto della giovinetta spaventata, mettendo a repentaglio la sua stessa vita per salvarla. E’ possibile che vi sia, da un punto di vista “politico” l’intento implicito di sottolineare il contrasto tra l’uomo del popolo, sano e saggio e il re dissoluto e preda dei suoi desideri?
    È il cacciatore che riceve dalla regina l’ordine di uccidere la fanciulla ma come tutti sappiamo non lo rispetta.
    È in lui, come ci spiega Bettelheim, che possiamo intravedere una rappresentazione inconscia del padre. Chi altri, infatti, se non un sostituto paterno potrebbe sembrare acquiescente alla supremazia della matrigna, e malgrado ciò, osare, per amore della bambina, di opporsi al volere della regina? È questo che la ragazza edipica e adolescente vuole credere di suo padre: che anche se lui finge di comportarsi come la madre gli ordina, in realtà si schiera dalla parte di sua figlia, ingannando la madre. (Bettelheim, 1977).
    La bambina che si mette in contrasto con la bella matrigna (rappresentazione simbolica della madre rivale) rischia la vita e il padre non farà nulla per salvarla ma un altro padre interverrà in suo favore. In termini psicoanalitici possiamo anche parlare di “rivincita edipica” e di fuga della ragazza dalla coppia genitoriale vissuta come mortifera. La bella matrigna, del resto, è la rappresentazione della donna cattiva descritta da Helene Deutsch (1977): donna che non permetterà a nessuno, neppure ai propri figli o nipoti di offuscarla.
    La fiaba si concluderà con l’atroce morte della vecchia strega ma neppure qui il padre ricompare: alle nozze di Biancaneve, infatti, viene invitata la regina ma del re non si parla più. Sembra, ancora una volta, che si tratti di “una questione fra donne” dove l’uomo non ha che una funzione procreativa. La giovane Biancaneve, forte della sua nuova posizione di principessa, con il sostegno del giovane principe che l’ha risvegliata dal sonno, si vendica in modo crudele della matrigna facendola ballare, fino alla morte con scarpe roventi.
    Allo stesso modo Cenerentola è la storia di una bellissima giovane, privata alle seconde nozze del padre del ruolo che le spetta nella famiglia e costretta così dalla crudele matrigna e dalle sorellastre ad una vita di schiavitù domestica: si pretende da lei che compia i lavori più umili e benché essa li svolga con cura, non le viene riconosciuto nessun merito e anzi, si aumentano le pretese nei suoi confronti. Cenerentola è dunque apparentemente vittima di un sistema familiare trasformato, in cui una matrigna preferisce le sue figlie alla figliastra e, pian piano, la esclude dal sistema affettivo relegandola ad una condizione di ovvia inferiorità.
    Anche qui il padre svolge una funzione assolutamente secondaria: di lui si sa solo che, rimasto vedovo, ha sposato in seconde nozze la matrigna di Cenerentola. Non si accorge che a Cenerentola sono stati tolti i suoi bei vestiti e che ora indossa una vecchia palandrana grigia e un paio di zoccoli! Egli compare solo nell’episodio in cui, prima di andare alla fiera, chiede alla figlia e alle figliastre cosa desiderino in dono. Non si pone neppure il problema del perché mai Cenerentola gli chieda solo “il primo rametto che urterà il suo cappello sulla via del ritorno” e si limiterà ad accontentare i desideri delle tre ragazze. Nessuna sensibilità, dunque, e nessun coinvolgimento affettivo; solo dei doveri materiali da assolvere. Da un punto di vista delle dinamiche familiari egli non ha nessun ruolo degno di nota e tutto viene lasciato nelle mani di una perfida donna. Anche qui, come il Biancaneve, la madre morta è invece rappresentata come buona e profondamente legata alla figlia.
    “La moglie di un ricco mercante si ammalò e, quando sentì avvicinarsi la fine, chiamò al capezzale la sua unica figlioletta e le disse: “Bimba mia, sii sempre docile e buona, così il Buon Dio ti aiuterà e io ti guarderò dal cielo e ti sarò vicina”. Poi chiuse gli occhi e morì”...”Quando venne l’inverno, la neve coprì la tomba di un drappo bianco, e quando il sole di primavera l’ebbe tolto, l’uomo prese moglie di nuovo. La donna aveva portato in casa due figlie, belle e bianche di viso ma brutte e nere di cuore”… (Fratelli Grimm, Le fiabe del focolare. Cenerentola, pag 83)
    Nella fiaba di Cenerentola, in una delle tante versioni che è divenuta anche la più nota, non c’è nemmeno una figura maschile che intervenga a salvare la fanciulla. E’, infatti, la buona fata ad aiutare Cenerentola ad andare alla festa del re. Si tratta, tuttavia, di una figura con caratteristiche sia materne che paterne: se, infatti, è vicina empaticamente alla giovane, comprendendone i bisogni, ella pone dei limiti molto rigidi: “A mezzanotte a casa, altrimenti perderai tutto: la carrozza, i cavalli, il bel vestito e le scarpette”. E’ una condizione che ci appare dura, forse anche senza senso, ma, in chiave metaforica, si tratta di una regola che ha a che fare col codice paterno, che deve dare dei precisi confini e farli rispettare (Holeinone P., Strada A., 2005).
    Anche nella fiaba di Hansel e Gretel, il padre si mostra debole e alla mercè della moglie. Se egli inizialmente si ribella all’idea di abbandonare i suoi bambini nel bosco, alla fine cede all’insistenza della donna:
    …“No moglie mia – disse ‘uomo -questo non lo faccio: come potrei aver cuore di lasciare i miei figli nel bosco! Le bestie feroci verrebbero subito a sbranarli - . “Pazzo che non sei altro – diss’ella- allora dobbiamo morire di fame tutti e quattro; non ti resta che piallare le assi per le bare – E non lo lasciò in pace finché egli acconsentì. “Ma quei poveri bambini mi fan pietà – disse l’uomo”... (Fratelli Grimm, Le fiabe del focolare. Hansel e Gretel, pag 56)
    Siamo così questa volta, di fronte ad un padre con un ruolo attivo, che si sbarazza dei figli, complice della donna. Mentre nelle fiabe di Cenerentola e Biancaneve i padri sembrano non accorgersi di ciò che avviene nella loro casa, in questa fiaba la donna esige che sia lo stesso padre ad abbandonare i suoi bambini ed egli ubbidisce pur sapendo di commettere un’azione indegna.
    Molto diversa è la figura paterna nella fiaba di Pollicino dei Grimm: anche in questo caso è il padre che si sbarazza del figlio, vendendolo per una bella moneta d’oro, ma non è la moglie a spingerlo, bensì lo stesso Pollicino.
    Il padre di Pollicino non è poi l’unica figura maschile che si incontra andando avanti con la lettura della fiaba: troviamo infatti, l’orco, un personaggio frequente nelle fiabe e che, sotto molti aspetti, può essere considerato come la rappresentazione simbolica del padre cattivo.
    La sua funzione, inoltre, rispetto all’elaborazione che il bambino sta compiendo di tutti i dati della sua esperienza, è fondamentalmente quella di suggerirgli che accanto alla pericolosità di certi elementi naturali, va considerata anche la pericolosità di persone dalle quali occorre sapersi difendere.



    Accenni alla figura del padre nelle fiabe moderne

    Nella famiglia attuale i rapporti sono molto cambiati: è ormai un dato indiscutibile la tendenza alla matrilinearità nell’accudimento dei bambini e nella gestione del quotidiano. Ne è una prova il fatto che i genitori della madre sono i più coinvolti e i più presenti nella vita della famiglia, essendo la donna in una posizione di maggiore autonomia economica e decisionale.
    Molte famiglie, del resto, sono monoparentali e quasi tutte composte dalla sola madre e dai suoi figli. Sono note le proteste dei padri per riconquistare la possibilità di vedere i propri figli in caso di separazioni e divorzi.
    In una tale prospettiva lo spazio per la figura paterna si è molto ridotto e l’uomo è costretto a ridefinire il proprio ruolo e la propria funzione, confrontandosi con una donna probabilmente molto diversa da quella del suo immaginario, costruitosi sulla figura della propria madre. La sua Famiglia interna ideale non corrisponde più alla famiglia reale in cui si trova ad espletare il ruolo paterno.
    Una possibile conseguenza di questa situazione è che il padre fugga dalle sue responsabilità, delegando alla donna. In alcuni casi, incapace di trovare una sua identità paterna finisce col trasformarsi in un “mammo”, esercitando, come la donna, solo una leadership espressiva.
    “La tendenza attuale della nostra società è quella di valorizzare nei padri lo svolgimento di funzioni sostanzialmente materne, come l’accudimento fisico del bambino, l’alimentazione o il cambio del pannolino. E’ sempre più frequente assistere, durante la gravidanza, alle manifestazioni preoccupate e ansiose dei padri che, in alcuni casi, arrivano ad accusare sensazioni corporee e disturbi simili a quelli della moglie” (Baldoni, 2005, pag. 94).
    Se questi comportamenti paterni possono ispirare tenerezza e compiacimento nelle donne, essi possono anche diventare pericolosi sintomi di una famiglia in cui viene a mancare la base sicura per un sano assetto “separativo”.
    Nei termini di Fornari (1981) questo significa che ai figli viene trasmesso solo il codice materno, con gravi rischi per lo sviluppo psichico. L’assenza di codice paterno comporta, come è stato documentato in molti lavori sia nel passato che recentemente, molti rischi che vanno dai disturbi comportamentali alla tossicodipendenza, alle difficoltà nella costruzione dell’identità di genere, nell’autostima ecc.. (Tanzi, 2006).
    Questa trasformazione si riflette ovviamente anche nelle fiabe moderne, dove troviamo padri amorevoli, preoccupati della relazione col figlio, pronti a sacrificare tutto per lui.
    La prima fiaba che ha affrontato questo tema, in una prospettiva di mono-parentalità, è Pinocchio, scritta tanti anni prima che il problema si ponesse in ambito sociale.
    Questa è la storia di un falegname di nome Mastro Ciliegia, al quale capitò tra le mani, uno strano pezzo di legno. Mentre stava per tagliarlo, il pezzo di legno cominciò a lamentarsi. Impaurito, Mastro Ciliegia decise di liberarsene, regalandolo ad un suo amico di nome Geppetto, che voleva costruirsi un burattino. Geppetto, che di mestiere faceva il ciabattino, tornò a casa contento, con sottobraccio il pezzo di legno, pensando al nome che avrebbe dato al burattino: “Lo chiamerò Pinocchio!” si disse, “Questo nome gli porterà fortuna!” (Holeinone P., Strada A., 2005).
    Già la nascita di Pinocchio dalle mani esperte di Mastro Geppetto ci dice che sarà un padre “mamma”, un antesignano di Cramer contro Cramer, dal momento che non esiste, nemmeno di sfondo, una madre o una donna con cui Geppetto possa condividere l’esperienza della genitorialità.
    Geppetto è un padre persino troppo buono, che sacrifica tutto sé stesso a quel bambino di legno che lo farà impazzire per tanto tempo. “Sii buono” diceva spesso a quel birichino di Pinocchio…ma proprio essere buono è ciò che Pinocchio cercava di fare con scarso successo. Suo padre, però lo perdonava sempre, perché quello in realtà era il suo unico figliolo e, in fin dei conti, era, secondo lui, un bambino buono”.
    E’ curioso che in Pinocchio il codice paterno sia trasmesso dalla Fata Turchina, figura femminile a cui è devoluto il compito di imporre le regole e di punire il burattino, allo scopo di farlo crescere psicologicamente. L’insegnamento è molto attuale: anche se il padre è un mammo, qualcuno dovrà accollarsi il compito di fare la “parte del cattivo” per il bene del figlio.
    Se possiamo considerare Collodi un precursore, le fiabe moderne hanno riportato in auge padri affettuosi e coinvolti emotivamente nella relazione col bambino.
    La ricerca “Padri da favola nel mondo Disney”, commissionata da Buena Vista Home Entertainment e condotto dall’Università Cattolica di Milano fa una carrellata delle varie figure paterne e della relazione tra genitori e figli nel mondo Disney. (cfr. www.unicatt.it)
    Troviamo così il padre “inesperto” di Chiken Little; quello “presente ma non troppo” de Gli incredibili; il padre “protettivo” di Nemo; il papà “modello” del film Il Re Leone; quello “accogliente” di Mulan che non confonde mai i ruoli ma rispetta le scelte inusuali della figlia.
    Siamo di fronte a figure paterne molto diverse fra di loro ma che agiscono sempre nel bene del figlio. Ogni genitore si può così serenamente e ironicamente riconoscere nelle divertenti caricature dei papà Disney.
    Una fiaba moderna che ha travolto il mondo intero è quella di Harry Potter, fedele alla forma tradizionale, sapiente metafora magica del mondo umano, trasposto in quello parallelo dei maghi. In essa la figura paterna è fortemente presente: dalla simpatica macchietta del signor Weasley, che ha sette figli e una moglie piccola e cicciottella, all’altezzoso mago Malfoy, a James Potter, il padre eroe morto per salvare il figlio da Voldemort.
    Harry cerca continuamente un padre a cui affidarsi e lo trova in figure alternative come il Mago Silente o il padrino Sirius Black o nel Patronus (lo spirito del padre) evocato nei momenti più tragici.
    La Rowling insiste sull’importanza dell’equilibrio fra figure femminili e maschili, in un sapiente mosaico di rapporti nella scuola per maghi di Hogwarts e nell’ambito delle famiglie. Anche fra maghi esistono, come fra i Babbani, differenze sociali e di personalità ma, anche nei casi dei ricchi e terribili maghi cattivi (i mangia morte) la figura del padre è protettiva nei confronti dei propri figli e molto presente nella vita degli stessi, anche se spesso trasmette valori negativi.
    Codice paterno e materno sono sapientemente miscelati ed è ben chiaro che devono coesistere per una crescita sana dei bambini e dei ragazzi. La tenerezza di mamma Weasley diventa furia punitiva di fronte alla disubbidienza dei due gemelli, così come la severità autorevole di Silente cede talvolta alla commozione di fronte alla fragilità dei suoi allievi.
    Lo stare insieme davanti ad uno schermo, in una dimensione di divertimento e di crescita, così come nel leggere un libro, può permettere ai padri di trasmettere messaggi affettivi al proprio bambino in modo indiretto, attivando la fantasia e spostando in un mondo magico il teatro delle relazioni familiari.
    Se, dunque, in passato, erano i nonni o le madri a narrare le fiabe, oggi anche molti padri, sollecitati da storie che li vedono protagonisti ed eroi, leggono e raccontano storie ai loro bambini, trovando un modo in più per esprimere, condividere e sollecitare emozioni.



    Conclusioni

    Si può quindi concludere che anche nelle fiabe la figura del padre è mutata nel tempo. Se nelle fiabe classiche troviamo padri buoni ma soprattutto padri cattivi, molto spesso assenti o poco presenti in un universo femminile in cui si giocano rapporti di rivalità e di odio reciproco, nelle fiabe moderne i padri riacquistano un ruolo positivo, diventano figure di riferimento e di sostegno nell’esplorazione del mondo, sono capaci di manifestazioni affettive quanto, e talvolta più delle madri.
    Ancora una volta il racconto fantastico ripropone direttamente, o indirettamente attraverso simboli e metafore, le dinamiche interpersonali e le regole sociali; le rappresentazioni della società e, in particolare, dei ruoli maschile e femminile.
    Possiamo fare l’ipotesi che le fiabe tradizionali siano state narrate soprattutto da donne che hanno descritto con molta crudezza ciò che avveniva realmente in una società patriarcale e arcaica: in famiglia vigeva il matriarcato nella gestione delle relazioni con i figli mentre gli uomini si dedicavano agli affari, al lavoro o alla guerra, talvolta disattenti o disinteressati ai risvolti emotivi familiari, talvolta costretti a seguire la volontà della moglie per quieto vivere.
    Nelle fiabe moderne, al contrario, si delinea una figura paterna molto diversa, non sappiamo se del tutto rispondente alla realtà o molto idealizzata. Il messaggio che viene trasmesso al bambino, tuttavia, è che il padre ha le stesse capacità affettive della madre pur mantenendo caratteristiche e modalità educative sue proprie.



    * Laureata in Scienze della Formazione – Libera Università di Bolzano
    ** Docente di psicologia dello Sviluppo - Libera Università di Bolzano

     
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