GIORGIO CECCARELLI FIGLI NEGATI

LA SUA STORIA

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. naufragi
     
    .

    User deleted


    MI HANNO FATTO ARRESTARE PER PRENDERMI MIA FIGLIA


    «Qualcuno ha voluto fare un regalo alla mia ex moglie: ha messo la cocaina sotto un sedile, ha fatto una soffiata alla polizia e la trappola è scattata». Ma si può arrivare a tanto per una bimba contesa?

    di NANDO FESTA

    Alatri (Frosinone), agosto.
    G liel'hanno fatta grossa e lui è ancora sotto choc. Giorgio Ceccarelli, 35 anni, impiegato del comune di Roma con funzioni ispettive sul patrimonio della capitale, gira con l'effigie di Padre Pio in tasca. È convinto che sia stato proprio il frate in odore di santità a tirarle fuori dai guai. E che guai!
    «Mi sono ritrovato in carcere con un'accusa infamante, detenzione di cocaina, con il rischio di andare incontro ad una condanna pesante, perché i 40 grammi di sostanza stupefacente che gli agenti della squadra mobile di Frosinone hanno trovato sotto il sedile della macchina che io usavo, assieme ad un bilancino di precisione, erano più che sufficienti a giustificare il mio arresto e le conseguenze penali previste. Ma ho avuto la forza di reagire, ho fatto lo sciopero della fame per attirare l'attenzione dei mass media e, dopo appena otto giorni, il giudice per le indagini preliminari mi ha scarcerato con questa formula: "Estraneo ai fatti commessi da altri". Ora mi aspetto tutta la verità e che i colpevoli di questa calunnia vengano perseguiti e provino lo stesso dolore che ho provato io».

    Una trappola dunque, architettata da qualcuno che aveva interesse a screditare il praticante procuratore, giornalista e presentatore in una tv locale, che non fuma, non beve, non ha vizi ed una sola immensa passione: sua figlia G., nove anni, oggetto di una contesa giudiziaria con la ex moglie, Susy Fortunati, 27 anni, figlia di un ricco e affermato broker assicurativo della capitale. E sembra che gli inquirenti della squadra mobile di Frosinone, cui Giorgio rivolge continue parole di apprezzamento, non si siano accontentati di una verità fin troppo evidente ed abbiano scavato, approfondendo quel grido di dolore che Giorgio Ceccarelli, dal carcere, dinanzi al Gip, aveva lanciato: «Sono innocente e vittima di un complotto della famiglia di mia moglie!».
    «Ringrazio Padre Pio»
    Accanto, Giorgio Ceccarelli posa per il fotografo di Visto ad Alatri, la cittadina dove vive. Il giovane impiegato del Comune di Roma è anche cronista tele- visivo per le partite di calcetto. «Devo ringraziare Padre Pio, mi ha dato la forza per resistere alla sofferenza del carcere», dice.

    A destra e sotto, Ceccarelli attorniato da amici e amiche durante una festa di compleanno. A fronte, in una bellissima immagine con la sua bambina (che abbia mo votatamente reso irriconoscibile per non rischiare che i riflessi negativi dell'odissea vissuta dal padre possano danneggiarla).

    «Aspetto che i giudici trovino conferma alle mie affermazioni: chi ha costruito la trappola alla droga voleva privarmi di lei per sempre, impedendomi l'affidamento». Una storia sporca ed incredibile che rischia di sfociare in provvedimenti clamorosi a carico di quanti avrebbero, stando alle indiscrezioni, architettato il piano infernale per delegittimare Giorgio e impedirgli di avere l'affidamento definitivo della figlia.
    L'uomo è provato, teme addirittura per la sua incolumità fisica, la notte non dorme, a Roma non vuol mettere piede, pensa di chiedere il porto d'armi.
    Nonostante questo stato d'animo per nulla sereno, Ceccarelli accetta di rac- contare in esclusiva a Visto la sua vita matrimoniale e la sua esperienza nella casa circondariale del capoluogo ciociaro.
    «Ho sposato Susy quando lei aveva appena 17 anni ed era incinta. Il matrimonio è andato bene a- gli inizi anche se vivevamo a casa di mio suocero. Poi siamo andati a vivere da soli in un appartamento di via dei Giubbonari a Roma. Eravamo una famiglia unita, le uniche incompatibilità, ma sopportabili, esistevano con la famiglia di lei. Quattro anni fa, a maggio del 1992, Susy è tornata a casa ed ha fatto la valigia, dicendomi che se ne andava con la bambina senza fornirmi alcuna spiegazione. Io non l'ho fermata e la nostra separazione, devo confessarlo, per me resta un mistero. Niente lasciava presagire quello che stava per accadere. Io come è naturale ho pensato che lei potesse avere un altro uomo, ma non me ne sono interessato e confesso che non c'è stata una vera e propria causa scatenante. La fase del tira e molla è durata alcuni mesi, poi il dodici agosto del 1992 se n'è andata definitivamente, credo che la sua relazione con un medico greco, un certo Francesco Arkontakis, che avrà una quarantina d'anni, fosse già in piedi anche se dinanzi al giudice lei ha negato e ci siamo accordati per la separazione consensuale. La legge ha stabilito che la bimba dovesse essere affidata a lei e che io potevo vederla una volta alla settimana».
    Ma le cose non filano lisce, perché il giovane praticante procuratore, ex calciatore (ha giocato assieme a Giorgio Chinaglia in una squadra dilettante abruzzese), cronista televisivo delle partite di calcetto, non manda giù la separazione. Nutre, come dice lui stesso, pochissima stima per Susy e, addirittura si rifiuta di parlarle al telefono quando lei chiama per sapere come sta la figlia.
    «Lei un giorno ha fatto un'istanza al giudice tutelare per obbligarmi a parlarle... per il bene di nostra figlia, così diceva, ma io mi sono sempre rifiutato. Un anno fa, la mia ex moglie rimase incinta di quel medico greco e cominciò ad architettare il piano per ottenere il mio consenso all'espatrio in Grecia assieme a nostra figlia. Dinanzi al giudice tutelare io mi opponevo, ma il magistrato, un mese fa, mi disse che non potevo impedire a Susy e a G. di andare in vacanza in Grecia. Ma la mia ex consorte aveva commesso un errore madornale. Non appena aveva avuto la certezza di aspettare un bambino dal medico greco aveva, circa nove mesi fa, avanzato un'istanza ad un altro giudice chiedendo di potersi trasferire ad Atene. E questa richiesta, con la fissazione dell'udienza ad ottobre prossimo, era stata depositata nella casa comunale ed io ancora non l'avevo ritirata. Ero indeciso, ma dopo l'assenso del giudice per il permesso di Susy andai a ritirare quella carta e con mia somma sorpresa trovai scritta la verità: lei aveva deciso di sottraimi la bambina per sempre. Allora mi sono precipitato dal giudice tutelare e gli ho mostrato quell'istanza, lui è trasecolato ed ha rimproverato Susy negandole a quel punto il permesso di portare Giulia con sé. Lei è andata su tutte le furie, e con aria di sfida mina detto: "Allora tienitela per tutto il mese di agosto!". Come se fosse un peso.
    Figuriamoci, io ero felicissimo, un mese intero mia figlia con me, un sogno! Ed infatti ho passato i giorni a fare il padre. Ma la trappola micidiale stava per scattare».
    Il 9 agosto Giulio prende in prestito da un amico una Citroen Bx rossa, quando nel pomeriggio una signora vicina di casa gli chiede di accompagnarla a fare la spesa, lui nota che la serratura dell'auto è scardinata ma attribuisce il fatto ad un tentativo non riuscito di rubare l'autoradio. Non presenta denuncia, ma parla del fatto con decine di persone lamentandosi che i ladri tentino di rubare anche le vecchie carrette come la Bx del suo amico.
    «Non ho più toccato la macchina fino al dodici agosto quando sono andato a far compere con mia figlia. Tornati a casa mi si è avvicinato un poliziotto qualificandosi ma, con estrema professionalità, non ha fatto capire nulla a lei: ho potuto accompagnarla sotto il portone e farla salire da mìa cognata. Gli uomini della Mobile mi hanno detto che dovevano controllare l'auto e da sotto il sedile è spuntata una busta con scritto Comune di Roma.
    «È sua questa busta?», mi hanno chiesto, ed io ho risposto che mi sembrava strano ci fosse una busta del Comune sotto il sedile della macchina che avevo fatto lavare e pulire da qualche giorno, ma che comunque se era del Comune sicuramente era mia, visto che lì io ci lavoro.
    Quando ho aperto e ho visto la bilancina elettronica ho pensato ad un computer, poi ho visto la droga e mi si è fatto buio dinanzi agli occhi. L'ho detto immediatamente. «Questo è un complotto della famiglia di mia moglie!».
    Giorgio Ceccarelli viene rinchiuso in isolamento nella casa circondariale di Frosinone: «Quando si è chiuso il portone blindato della cella dietro le mie spalle ho sentito il mondo franarmi addosso, ma ero cosciente della mia innocenza ed il pensiero del dramma che si stava consumando ai danni miei e di mia figlia mi ha aiutato a resistere. Ho pensato e ripensato, ho meditato, ho pregato a lungo Padre Pio perché mi aiutasse a non crollare ed ho anche capito che non potevo consentire a nessuno di approfittare della mia debolezza. Dopo l'udienza di convalida dinanzi al Gip ho iniziato lo sciopero della fame, sarei andato avanti ad oltranza ma mio fratello Vincenzo è venuto a trovarmi scongiurandomi di riprendere a mangiare, perché mia madre, ottantenne, era stata ricoverata in ospedale in condizioni gravissime per il dolore del mio arresto.
    «In quei giorni però qualcosa si è mosso, dopo la mia scarcerazione sono venuto a sapere che qualcuno insistentemente aveva telefonato al 113 di Frosinone per chiedere se io fossi stato arrestato, se mi toglievano la patria potestà su mia figlia. Ecco cosa deve aver illuminato gli investigatori. Ora tutto è coperto dal segreto istruttorie ma io ho piena fiducia nella giustizia che ha saputo tornare sui suoi passi».
    L'impiegato comunale vittima di questa allucinante calunnia, attende che la legge si muova per accertare tutta la verità; ci sono alcune persone indagate che appartengono al clan familiare della ex moglie, si parla di cento milioni sborsati da qualcuno a qualcun altro per mettere in piedi l'infame azione. La droga è stata trovata lo stesso giorno della fine del suo matrimonio, il dodici agosto, quattro anni dopo. Una coincidenza? O la verità di parte che lui ci ha raccontato è davvero «la» verità?





    MIA SUOCERA HA PAGATO CENTO MILIONI PER MANDARMI IN GALERA

    «Voleva togliermi per sempre la mia bambina: per questo mi ha fatto mettere la coca in auto, Ma in trappola c’è caduta lei», dice Giorgio Ceccarelli. Smascherati anche i compiici della disinvolta signora, un improbabile detective e uno strano finanziere

    di NANDO FESTA

    Frosinone, settembre.

    A veva gridato la sua innocenza dal buio del carcere, s’era battuto come un leone per non finire stritolato nel tritacarne della provocazione che gli avevano cucito addosso. Otto giorni di prigione a cavallo di Fer- ragosto, una prova durissima, ma non aveva mollato. Alla fine, come in un bel film americano, Giorgio Ceccarelli ha avuto ragione: la droga nella macchina, trovata da agenti della mobile di Fresinone non era sua, qualcuno ce l’aveva messa.
    Giorgio, la scorsa settimana. dalle colonne di Visto, aveva raccontato la sua odissea iniziata il 12 ago- sto, quando gli agenti della Questura, dopo aver ricevuto una telefonata anonima, gli avevano trovato nella Bx rossa 80 grammi di cocaina suddivisa in buste pronte per lo spaccio assieme ad un inequivocabile bilancino di precisione. Il tutto racchiuso in una busta del Comune di Roma: guardacaso, lui è proprio impiegato comunale.
    La flagranza del reato aveva costretto la polizia ad arrestarlo, facendogli trascorrere otto giorni dentro, fino a quando il Giudice per le indagini preliminari non lo ha scarcerato «perché estraneo a fatti commessi da altri».
    «È un complotto della famiglia di mia moglie per togliermi mia figlia», aveva gridato immediatamente agli agenti che lo arrestavano. Ma, come dice il commissario Cristiano Tatarelli, dirigente della squadra mobile della città laziale, «non aveva fornito elementi certi per potergli credere subito, anche se le modalità di quell’operazione non ci convincevano del tutto». Ed invece proprio l’elevata capacità professionale del funzionario di polizia e dei suoi uomini, gli ispettori Angelo Conti, Luigino Magliocchetti e Gianfranco Pronutico, ha consentito di svelare i retroscena di un vero e proprio complotto ordito ai danni del ragazzo di Alatri, impiegato con funzioni ispettive al Comune di Roma. Un complotto nella migliore tradizione dei «parenti serpenti» ideato e messo in atto dalla suocera di Giorgio, Maria Smith Fortunati, che agli inquirenti ha confessato tutto. «Sono stata io ad organizzare la cosa», ha detto questa sessantenne di stimata famiglia e ottima reputazione, «ho pagato cento milioni ad un investigatore privato di Frascati, Maurizio Viscusi e al maresciallo della Guardia di Finanza, Angelo Vaccari, perché provvedessero a mettere la droga nell’auto di Giorgio. Volevo così toglierlo di mezzo ed impedirgli di vedere la bambina che lui ha avuto da mia figlia Susy. Lei però non c’entra assolutamente con quanto è accaduto, è tutta colpa mia. D’altronde Susy stava in Grecia quando Giorgio è stato arrestato». Fin dall’inizio delle indagini sulla cocaina trovata nell’auto di Giorgio Ceccarelli (a destra, ad Alatri, la sua città), gli uomini della Mobile di Frosinone hanno capito che nella vicenda c’erano molti punti oscuri. «Nessun riscontro, nessun precedente. E poi, uno strano maresciallo di Finanza si è presentato a chiedere notizie dell’arresto. Perché? Lo abbiamo messo sotto controllo, e la verità è venuta fuori», racconta il commissario Tatarelli.
    “Fin dall’inizio era tutto poco chiaro”
    Un bel pacco dono, non c’è che dire, confezionato con la forza dei soldi e con il disprezzo della vita umana, perché anche una sola giornata di prigione ingiusta può determinare conseguenze psicologiche irreparabili.
    Giorgio ora si gode il momento della giustizia che trionfa e dice convinto: «Lo sapevo sin dall’inizio che erano stati loro ad organizzare questa cosa, l’ho detto, ma non avevo prove. In carcere, per evitare di finire dimenticato da Dio e dagli uomini, ho anche fatto lo sciopero della fame, avevo il terrore di non essere creduto e soprattutto di non poter mai più rivedere mia figlia che è l’unica ragione della mia vita. Oggi devo inchinarmi dinanzi all’onestà ed alla professionalità degli agenti della mobile di Frosinone che hanno verificato le cose che andavo dicendo giungendo così, in breve tempo, alla soluzione del caso.
    «Sono stato prosciolto perché non avevo commesso il fatto, la giustizia mi ha dato ragione e non voglio neppure lamentarmi sui giorni passati in carcere, devo dire che alla fine i magistrati si sono convinti che quella cosa così plateale ed evidente non mi apparteneva».
    In realtà l’indagine è stata velocissima e minuziosa, e, dalle parole del commissario Tatarelli si capisce che il trio «diabolico» ha commesso errori a iosa nel progettare la montatura contro l’impiegato con la passione per il calcetto. «Quando abbiamo arrestato Ceccarelli ad Alatri», commenta ancora il dirigente della squadra mobile, «ci siamo posti la domanda del perché qualcuno avesse interesse a telefonare per avvertirci della presenza della droga nell’auto del ragazzo. C’è da dire che, alcuni giorni prima, avevamo operato sei arresti per spaccio, alcuni dei quali proprio nella cittadina del Frusinate; pensavamo quindi che qualcuno volesse collaborare anche in forma anonima segnalandoci un quantitativo di droga che, per queste parti, è notevole. Ma più andavamo a fondo indagando sulla personalità di Ceccarelli e meno riscontri trovavamo. Neppure a livello di chiacchiere la vita privata dell’uomo poteva essere messa in discussione. Sì, è vero, a Roma frequenta il mondo dello spettacolo, ma le inchieste sì fanno con i fatti, non con le dicerie o con le sensazioni».
    Gli investigatori si mettono quindi ad approfondire, ma una mattina, in Questura, si presenta uno strano personaggio, Angelo Vaccari, 29 anni, maresciallo della Guardia di Finanza, e chiede informazioni sul conto di Ceccarelli. «Voleva sapere se lo tenevamo ancora dentro, se gli veniva tolta la patria potestà sulla figlia... Insomma una serie di domande davvero fuori luogo, senza che poi ci venisse fornita alcuna spiegazione del perché un appartenente alla Finanza girasse a chiedere notizie di un arrestato dalla Polizia», commenta ancora Tatarelli.
    Dopo una serie di accertamenti, gli inquirenti erano giunti alta conclusione che esisteva un rapporto molto stretto tra il finanziere e un investigatore privato di Frascati, Maurizio Viscusi. Interrogati entrambi, sono cominciate ad emergere le contraddizioni ma anche un aspetto (Giorgio ce ne scuserà) un po’ comico. E sì, perché durante la perquisizione nell’auto di Ceccarelli, uno degli agenti ha notato la presenza proprio di Viscusi sulla piazza di Alatri, come se stesse lì per accertarsi che tutto filasse liscio.
    Insomma un trio poco diabolico e molto pasticcione, capace di lasciare tracce una dietro l’altra, di parlare disinvoltamente al telefono nonostante le ovvie intercettazioni della magistratura e di inventare scuse assai poco convincenti.
    «Ho avuto incarico dalla famiglia Fortunati», ha detto agli agenti l’investigatore privato, «di pedinare Ceccarelli e vedere con chi se la faceva nel periodo in cui aveva in affidamento la figlia». Ma la scusa non poteva reggere perché Giorgio, come ha lui stesso raccontato la scorsa settimana a Visto, stravede per la figlia, è felice come una pasqua che la moglie gliel’abbia lasciata per tutto il mese di agosto e si comporta in maniera irreprensibile.
    E così si giunge alla confessione drammatica della signora Smith Fortunati, la suocera che parteggiava per la figlia Susy contro Giorgio e voleva a tutti i costi rovinarlo.
    «Ora mi appresto ad intentare le iniziative giudiziarie più opportune», dice Giorgio Ceccarelli, «forse la verità completa non è ancora questa che appare, ma io ho l’obbligo di pensare a mia figlia e vedere un po’ con la giustizia se non è il caso di chiederne l’affidamento definitivo. La bambina ha pagato e pagherà il prezzo più alto in questa vicenda, ma io sono pronto a darle tutto il mio amore, la mia abnegazione per evitare che debba soffrire ancora. Non bisogna dimenticare che la mia ex moglie ha avuto un altro bambino da un medico greco, un certo Arkontakis, e che sogna di trasferirsi in Grecia portandosi dietro anche mia figlia. Non voglio accusare nessuno, ma certamente se il “pacco” che mi era stato confezionato avesse funzionato, oggi i suoi desideri sarebbero realizzati. Io in carcere come spacciatore di droga, lei al sole della Grecia a godersi la vita e mia figlia. Non voglio pensarci, ma mi vengono davvero i brividi».
    Il Giudice per le indagini preliminari di Frosinone è stato di manica larga con il terzetto: nessun provvedimento di custodia cautelare in carcere, solo la richiesta di sospensione dal servizio per il maresciallo della Finanza ed il ritiro della licenza di investigatore privato al maldestro detective dei castelli romani. Per quanto riguarda la signora Maria Smith, beh, dopo aver confessato tutto anche lei è entrata nell’ormai multiforme e variegato esercito dei collaboranti di giustizia. Meritandosi, si fa per dire, una semplice richiesta di rinvio a giudizio.

     
    .
20 replies since 14/7/2008, 19:29   4467 views
  Share  
.